Il Santuario di Sant’Agata al Carcere – Le torture di Agata

“La Struttura”
Il Santuario di Sant’Agata al Carcere costituisce un complesso di notevole interesse, con una stratificazione storica che conserva parti della cinta muraria greca (VI sec. a.C.), strutture monumentali di età romana (II sec. d.C.) e che a partire dall’alto medioevo diventa luogo centrale del culto di Sant’Agata, che secondo la tradizione qui venne tenuta prigioniera. A partire dal XV secolo sorge una prima chiesa, poi ricostruita ed ampliata dopo il terremoto del 1693.

“Le Torture di Agata”
Agata viene rinchiusa per la prima volta in seguito al suo rifiuto di sacrificare agli dei pagani e vi ritorna dopo il tentativo di “rieducazione” presso la casa della corrottissima matrona Afrodisia. Iniziato il processo e le torture, la giovane viene ricondotta in carcere dopo aver subito il martirio dei seni, e qui riceve l’apparizione di San Pietro che la guarisce da tutte le sue ferite.
Infine, dopo l’ultimo martirio della fornace, Agata viene nuovamente ricondotta in carcere e qui spira dopo aver elevato un’ultima preghiera, il 5 febbraio 251.

“La Tradizione”
La tradizione catanese riconosce in questi luoghi, fin dai tempi più antichi, il carcere di Agata. Qui, nel XVI secolo, accanto ad un’antica cappella dedicata a San Pietro (VIII secolo), venne costruita una vera e propria chiesa, destinata ad accogliere i numerosi pellegrini accorsi per rendere omaggio alla gloriosa Santa, rivivendo il suo martirio nei luoghi che ne furono testimoni. Dopo il terremoto del 1693 la chiesa fu ricostruita ed ampliata ad opera dell’architetto Francesco Battaglia, pur impostandosi sui resti dell’edificio precedente, ed arricchita dal disegno della facciata attribuita dell’architetto Giovan Battista Vaccarini.

“Il Carcere”
Le indagini più interessanti si sono concentrate sugli ambienti del “carcere” in cui, secondo la tradizione, fu rinchiusa Agata. Una prima sala voltata rettangolare è stata datata con certezza all’epoca romana e sarebbe ascrivibile ad un “edificio su podio” (un tempietto o un heroon), costruendone la favissa o la camera sepolcrale. Da qui si accede ad un secondo vano che si affaccia sulla piazzetta antistante la chiesa: si tratta di un ambiente più tardo, ricavato all’interno delle mura spagnole di Carlo V che nel VII sec. vennero erette in prossimità del santuario.


“Il quadro”

La più importante opera d’arte custodita nella chiesa è senza dubbio la grande tela che adorna l’altare maggiore, opera di Bemardino Niger (1588). Si tratta di una iconografia rara, ma che il pittore svolge con grande maestria per l’uso del colore, per la caratterizzazione emotiva dei personaggi rappresentati e per la rappresentazione del contesto urbanistico in cui si svolge la scena.

“Le orme”
Sulla parete destra del presbiterio, accanto all’ingresso del Carcere, una grata conserva le Orme di Sant’Agata che secondo la tradizione rimasero impresse nella pietra lavica mentre la giovane veniva ricondotta in carcere dopo il martirio.“Il portale”
La facciata della chiesa è impreziosita dal portale svevo, che originariamente si trovava nell’antica Cattedrale di Catania e che, a seguito del terremoto del 1693, fu spostato prima presso il Palazzo municipale e poi, nel 1762, a Sant’Agata al Carcere.
Si tratta di una testimonianza unica e di altissima qualità artistica della scultura di età sveva, datata intorno al 1235. Realizzato in marmo bianco di Carrara, è composto da archi strombati a tutto sesto sorretto da esili colonnine; tutti gli elementi architettonici – colonnine, pilastri, archi, capitelli – sono decorati con raffinati motivi vegetali o geometrici con inserti di figure umane e bestiali.
L’attenzione degli studiosi si è concentrata maggiormente sulle figure allegorico-grottesche che si possono ammirare sopra i capitelli, e che sono state variamente interpretate come rappresentazione simbolica dei controversi rapporti tra fra Federico II e la città di Catania, oppure facendo riferimento ai bestiari medievali e come figura dei vizi e delle virtù umane.

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