Chi era Giuseppe Fava? A Catania partono le riprese per il suo film, andrà su RAI 1

Prima che la notte. Dovrebbe intitolarsi così il film sul giornalista Giuseppe Fava e sulla redazione de I Siciliani che in questi giorni si sta girando a Catania che andrà in onda su RAI 1 ma non si sa quando. Attirando le domande dei cittadini curiosi che si imbattono sul set proprio presso in via Giuseppe Fava, ma ancora circondato da un alone di mistero. Il titolo dovrebbe essere lo stesso del libro da cui la pellicola prende spunto: scritto da Claudio Fava, figlio del cronista ucciso dalla mafia nel 1984, e da Michele Gambino, entrambi ex redattori del celebre mensile catanese, e pubblicato nel 2014 da Baldini & Castoldi. Non è chiaro quanto il film sarà aderente alle pagine, ma in quel caso si tratterà di un racconto corale. Non solo quindi sulla figura del giornalista e intellettuale noto per le sue inchieste e opere teatrali, ma anche sulla storia dei suoi giovani collaboratori e sul clima di coraggio e spensieratezza che si respirava in redazione almeno fino alla morte del direttore, che rende gli ex carusi uomini per necessità.

CHI ERA GIUSEPPE FAVA E COME MORI’?
Il 5 gennaio del 1984 moriva a Catania, assassinato in un agguato mafioso, Giuseppe Fava. Quasi sessantenne, Fava era uno scrittore di fama nazionale oltre ad essere principalmente un giornalista e autore di teatro. Da un anno aveva fondato, insieme ad un gruppo di giovani giornalisti suoi soci nella cooperativa Radar, il mensile I Siciliani. Nell’editoriale del primo numero aveva elencato i temi di cui la rivista avrebbe cominciato ad occuparsi: la crescita spaventosa della mafia, il sogno fallito dell’industria, la corruzione politica, l’inquinamento delle coste e la campagna pacifista in risposta allo stanziamento di missili nucleari nelle Basi Nato della regione. I giornalisti, attraverso lo strumento dell’inchiesta, riuscivano così ad approfondire temi e questioni che l’informazione siciliana fino a quel momento non aveva preso in considerazione. Il tutto condito da una cronaca di stampo letterario, il continuo racconto delle storie di vita, un grande laboratorio di scrittura e nuovi linguaggi.

Così quel mensile di approfondimento diventava il manifesto della libertà di stampa in Sicilia: un giornale “senza padroni e né padrini” che si era rivelato un vero e proprio terremoto nel mondo della stagnante informazione regionale siciliana, oltre a diventare una spina nel fianco dei politici collusi e dei mafiosi.

Nel primo numero era presente l’inchiesta probabilmente più importante di tutta la storia de I Siciliani: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio dedicato ai quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Di loro aveva parlato il generale dalla Chiesa prima di essere ucciso dalla mafia, rispondendo all’intervista di Giorgio Bocca: “I quattro maggiori imprenditori catanesi oggi lavorano a Palermo – aveva detto dalla Chiesa – lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”.

C’era una nuova mappa del potere mafioso, e I Siciliani, che avevano seguito le cronache di quegli anni, lo avevano capito e ne cominciavano a delineare i contorni. Non fu un caso così scoprire che uno degli imputati dell’omicidio dalla Chiesa era stato proprio Nitto Santapaola, boss in ascesa della mafia catanese, fino all’anno precedente ritenuto un semplice imprenditore rampante, amico delle istituzioni e del mondo degli affari, nonché protettore dei cavalieri del lavoro.
Negli anni de I Siciliani, nella Sicilia scossa dall’“effetto dalla Chiesa”, si scopre così da quel giornale che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione di palazzo che cercavano di minimizzare gli accadimenti in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.

Catania farà i conti con la mafia proprio il 5 gennaio del 1984, davanti all’omicidio di un intellettuale, di un uomo che era riuscito a parlare davvero alla gente e a proporre strumenti razionali per la lotta alla mafia. Il segnale era chiaro, l’ennesimo giornalista ucciso in Sicilia. Al ricatto mafioso I Siciliani non cederanno, continuando nel proprio lavoro, denunciando con forza le collusioni tra mafia, magistratura e imprenditoria. Essi riusciranno ad essere, per qualche anno, i protagonisti del movimento antimafia siciliano, coagulando intorno a loro la società civile, dopo aver sensibilizzato una nazione intera. Continueranno ad essere così il punto di riferimento, insieme al quotidiano L’ora di Palermo, dell’informazione antimafia, seppur soffrendo parecchi problemi finanziari dovuti al fatto di essere un giornale libero e senza padroni. Questa sarà la causa che ne comporterà chiusure transitorie e purtroppo quella definitiva nel 1996.