Ogni anno Catania offre alla sua patrona una festa straordinaria che può essere paragonata alla Settimana santa di Siviglia o al Corpus Domini di Cuzco, in Perù. In quei tre giorni la città dimentica ogni cosa per concentrarsi sulla festa, misto di devozione e di folklore, che attira ogni anno sino a un milione di persone, tra devoti e curiosi. Il primo giorno è riservato all’offerta delle candele. Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Alla processione per la raccolta della cera, un breve giro dalla fornace alla cattedrale, partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al senato che governava la città, e undici “candelore”, grossi ceri rappresentativi delle corporazioni o dei mestieri, vengono portate in corteo. Questa prima giornata di festa si conclude in serata cori un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo. I fuochi artificiali durante la festa di sant’Agata, oltre a esprimere la grande gioia dei fedeli, assumono un significato particolare, perché ricordano che la patrona, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi.
La festa di sant’Agata è inscindibile dalla tradizionale sfilata delle “candelore”, enormi ceri rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere. Le candelore precedono il fercolo in processione, perché un tempo, quando mancava l’illuminazione elettrica, avevano la funzione di illuminare il passo ai partecipanti alla processione. Sono portate a spalla da un numero di portatori che, a seconda del peso del cero, può variare da 4 a 12 uomini. I maestri orafi del Trecento avevano realizzato il Busto di sant’Agata, un capolavoro d’arte raffinato e prezioso. Ma il popolo, da sempre vicino alla patrona, ha voluto essere presente nella festa con creazioni proprie, opere di fattura artigianale che rappresentassero, inoltre, associazioni di varie categorie di lavoratori. Ognuna delle 11 candelore possiede una precisa identità. Sulle spalle dei portatori, essa si anima e vive la propria unicità, che si compone di diversi elementi: la forma che caratterizza il cero, l’andatura e il tipo di ondeggiamento che gli viene dato, la scelta di una marcia come sottofondo musicale.
I DOLCI TRADIZIONALI
Non potevano mancare, in periodo di festa, i dolci legati alla tradizione della santa catanese. Oltre alla famosa calia e simenza, presente in ogni festa a Catania, vengono realizzati per la ricorrenza alcuni dolciumi che hanno un riferimento a sant’Agata, come i “Cassateddi di Sant’Aita” e le “Olivette“. Si tratta di dolci caratteristici simbolici e attinenti alla vergine catanese. Le cassateddi, o “Minni di Sant’Aita” fanno riferimento alle mammelle che furono strappate alla santa durante i martiri a cui venne sottoposta, per obbligarla ad abiurare la sua fede. Le olivette, invece, si riferiscono alla leggenda che ella, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un istante. Nello stesso momento in cui si fermò, si dice per allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti. Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell’evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un’aiuola vicino ai luoghi del martirio, e consumare durante i giorni di festa questi dolci tipici realizzati con la pasta reale.
I LUOGHI DI CULTO
LA CATTEDRALE DI SANT’AGATA – Busto reliquiario di Sant’Agata di Giovanni di Bartolo (1373, sacello della cappella di Sant’Agata) – Scrigno delle reliquie di Sant’Agata, fine XV secolo/XVI secolo con rifacimenti del XVIII (sacello della cappella di Sant’Agata).
SANT’AGATA AL CARCERE – Chiesa che è stata costruita davanti al carcere dove la santa patrona della città, S. Agata fu rinchiusa durante il processo, portata dopo il martirio, guarita dall’apostolo Pietro e dove esalò l’ultimo respiro il 5 febbraio 251 d.C. – All’esterno del carcere, a sinistra dell’attuale porta di accesso, un concio di pietra lavica conserva, secondo la tradizione, le orme impresse di S. Agata.
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